È il 1880, siamo in terra vesuviana e viene inaugurata la prima funicolare, pensata e costruita per trasportare i locali e i turisti “forestieri” in cima al Vesuvio.

Ernesto Emanuele Oblieght, l’imprenditore cui se ne deve la costruzione, aveva giustamente pensato che il faticoso percorso (faticoso e costoso, nel caso in cui si svolgeva con portantini e facchini al seguito, come era d’uso presso altoborghesi e aristocratici) che dalle pendici del vulcano conduceva al cratere avrebbe potuto essere semplificato. Il buon senso ci dice poi che Oblieght aveva anche presunto che la nuova tipologia di trasporto avrebbe potuto essere remunerativa.

Passati gli iniziali entusiasmi, dicono le cronache, l’operazione funicolare stenta a produrre risultati apprezzabili. I canali pubblicitari canonici non funzionano, la qualità del servizio e la sua indubitabile comodità nemmeno. Qualcuno ha paura di quella scatola metallica che goffamente si arrampica sul monte, forse. In molti sono sicuramente legati ad una lunga tradizione e quindi: sul Vesuvio si va a piedi e basta. Al massimo a dorso di mulo o di asino. Forse, per qualcuno le rotaie della funicolare sono una sorta di profanazione dei connotati sacri di sua maestà Sterminator Vesevo.

Sia come sia: la gente, sullo sferragliante catorcio non vuole andarci. Ma qualcuno arriva a far cambiare le cose.

I nomi di Peppino Turco e Luigi Denza non vi suggeriranno nulla, probabilmente. Furono loro a scrivere quella certa canzone ispirata all’inaugurazione della funicolare, che fu capace, una volta presentata alla Festa di Piedigrotta, di ribaltare in maniera totale la percezione che di quella novità la popolazione aveva avuto fino a quel momento.

Non è del tutto chiara la genesi del brano, che alcuni ritengono essere stato concepito come canzone d’occasione (leggete: brano pubblicitario) e altri ritengono essere nato spontaneamente dalle penne degli autori e successivamente assorbito da fini promozionali. Ma il punto rimane: quella canzone incorniciò il nuovo mezzo di trasporto, lo impacchettò in una narrazione di gioia e festosità attraverso un incedere irresistibile. Ciò che prima di quella canzone era considerato con paura, diffidenza e indifferenza, quella canzone lo trasformò in curiosità e divertimento.

Storytellling: sempre esistito prima che decidessimo di chiamarlo storytelling, in forme talvolta assai più raffinate di quelle sulle quali oggigiorno si sogliono proporre casi studio (se non dico case studies fa lo stesso, vero?)

Il nostro Oblieght si sarà magari detto che quel brano avrebbe reso la sua invenzione un successo senza precedenti. Di certo, privo di precedenti fu il successo del pezzo e non soltanto presso il popolo, ma anche presso gente che rispetto alle materie musicali una certa autorevolezza la aveva, tipo Richard Strauss e Arnold Schönberg.

La funicolare chiude definitivamente quando sua maestà Vesuvio , nel 1944, la condanna senza appello con i modi che lui sa e che non ammettono repliche. Il treno scompare, il brano resta. Tuttora, uno dei più famosi al mondo.

Quando lo storytelling lo fai come si deve e magari nemmeno te ne accorgi. E per inciso: pure levandoci di torno le tematiche pubblicitarie, stiamo parlando di un brano che per i tempi in cui fu pubblicato era geniale e assolutamente innovativo.

E lo conoscete tutti.

Bonus track

Fra le varie forme che Funiculì funiculà ha assunto c’è. dicevamo, quella che le diede Arnold Schönberg, tra i più importanti musicisti della storia.

E, dicevamo ancora, il brano colpì pure Richard Strauss che lo inserì nella sua Fantasia sinfonica Aus Italien.

https://www.youtube.com/watch?v=Ka45ZKye1pE