Mettendo in ordine vecchi appunti, è saltato fuori un taccuino sfogliando il quale mi è cascato l’occhio su alcuni schizzi che avevo realizzato per un set di icone. Le quali avrebbero dovuto trovar posto sul sito web di un progetto riguardante la sostenibilità e l’economia circolare. Guardandole, mi sono accorto che erano eccezionalmente complicate, quelle bozze.

E mi è tornato in mente un caro zio, un fulmine di guerra di rara simpatia e creativo nel senso ampio e più nobile del termine.

Ero bambino e già mi piaceva disegnare. Copiavo i disegni che il grande Aurelio Galleppini realizzava per Tex: diligenze, treni a vapore, canyon. Mi facevano i complimenti, gli altri parenti.
Ma allo zio – che era uno originale, dicevamo – venne in mente di dirmi qualcosa di diverso dal già detto, ridetto e trito “come sei bravo”.

Me lo ricordo come fosse ora, seduto al tavolo di una cucina di quelle fine anni ’50 inizio anni ’60, illuminata da una luce calda ma non troppo insistente.
«Prova a disegnare cose più semplici. Prima di disegnare una diligenza, prova a disegnare… che ne so… un punto interrogativo, magari».

(dovete sapere che lo zio era uno che costruiva modellini dei monumenti italiani usando i fiammiferi. E li costruiva con grande dovizia di particolari. Era uno che le cose articolate sapeva farle, ecco)

Sono passati più o meno trent’anni e finalmente capisco, o almeno credo di aver capito, cosa avesse cercato di comunicarmi allora.
L’essenza delle cose, posto che ne esista davvero una, può essere indagata soltanto padroneggiandone gli elementi di base. Definire i quali è difficile, perché non hai spazi di manovra per imbrogliare; perché se un punto di domanda è composto da due segni non puoi aggiungerne un terzo per definirlo meglio.

(chissà se Bruno Munari e Oreste Molina avevano fatto un ragionamento simile a questo, nel pensare le linee grafiche delle copertine della Einaudi…)

Comprendere, riprodurre la semplicità è un esercizio di disciplina mentale che non lascia scampo e illumina in maniera impietosa le tue mancanze.

Disegnare una diligenza è complicato, per carità: ma puoi anche “barare”. Puoi disegnarla di profilo se sai che una vista frontale non ti viene bene. Puoi simularne la corsa lungo una prateria in modo da disegnare un polverone che copra quelle ruote che hai riprodotte così grossolanamente. Puoi farci tante cose, con la diligenza.
Con il punto interrogativo no. È quella cosa lì e la devi fare come va fatta.
E però: puoi farla usando il tuo stile. Usando una linea morbida o spezzando gli angoli per darle un aspetto più deciso. La base puoi farla rotonda o quadrata.

In definitiva, all’esercizio di disciplina si aggiunge l’esercizio di stile.

Grand’uomo, mio zio.

Chissà che avrebbe detto vedendomi disegnare quelle icone di quel progetto sulla sostenibilità e l’economia circolare. Ci misi una vita a trovare quella chiave di lettura, quei gesti, quei pochi segni realmente utili al lavoro che stavo facendo.
Ahimé, quel progetto non portò da nessuna parte, come tante volte capita.
Però, ecco: aveva ragione da vendere, lo zio. Menomale che mentre disegnavo mi sono tornate in mente le sue parole.

Post scriptum

Visto che ho citato Munari e Molina, qui c’è un bell’articolo che parla (anche) di loro. E poi, visto che non ho intenzione di togliermi il vizio di inserire link musicali in ogni cosa che scrivo, ecco un gran brano di un grande artista. Se vogliamo parlare di capolavori di semplicità, questo è un buon esempio.