“Quando qualcuno arriva con una bella canzone, la senti in giro per un po’, poi accendi la TV e senti la stessa fottuta canzone in qualche pubblicità! E tu dici: ‘Brutti stronzi, mi avete preso in giro. Io pensavo che quella fosse una pura e semplice canzone, e adesso voi mi dite che non è quello che sognavo. È un prodotto!’ Quello che dico io è che se uno vuole vendere una sua canzone alla pubblicità, allora non deve venderla alla gente. È offensivo. Perché se uno fa un tipo di musica che piace, allora vuol dire che questa musica entra nell’anima della gente, e il più grande insulto che si potrebbe far loro è di commuoverli e poi far loro scoprire, mentre stanno guardando la televisione, che ciò a cui pensavano sentendo quella canzone non esiste, che quella canzone in realtà è un prodotto. Mi dà fastidio”.

( Neil Young, da un’intervista con Bill Flanagan. In B. Flanagan, Scritto nell’anima, edizioni Arcana).

Forse Neil Young fu un pelino estremo, nel formulare certe affermazioni. La musica, in fin dei conti, si può usare per tante cose. Chiaramente si può essere o meno d’accordo con la liceità e l’opportunità di utilizzare materiali nobili (come una canzone che “entra nell’anima della gente”, appunto) a fini pubblicitari.

In generale, suppongo siano in molti a concordare con Young. E suppongo anche che sarebbero in tanti a ribattere, a precisare che anche una campagna pubblicitaria sia una forma di artigianato assai nobile, se ben fatta (e poi: cosa non è nobile, se ben fatto?). E se desiderassimo essere completamente obiettivi, dovremo anche dire che la storia della musica, a partire dall’introduzione della radiofonia, non manca di casi in cui un brano si è fatto strada nella testa e nei cuori della gente grazie ad un passaggio pubblicitario.

Per adesso limitiamo il territorio di analisi e anzi; facciamo a meno di parlare di analisi, dal momento che questo articolo è nient’altro che un reminder, un invito a non sottostimare la forza evocativa di quel arriva alle nostre orecchie mentre magari ci stiamo concentrando su quel che i nostri occhi vedono.

Leggo, per professione e per cultura personale, parecchi materiali riguardanti la comunicazione pubblicitaria e rimango costantemente colpito dal fatto che una consistente parte di quel che leggo riguardo alle campagne audiovideo tralasci o dedichi poco spazio all’elemento sonoro, di fatto attribuendogli una funzione ancillare rispetto alla centralità dell’immagine e del testo.

Trovo piuttosto strano che questo avvenga soprattutto nel mare magnum di un web che consente (consentirebbe) una libertà e una facilità mai viste nel reperimento e nell’analisi di contenuti multimediali. Sembra inoltre di assistere ad una sempre più evidente parcellizzazione delle conoscenze a partire dalla quale si crea spesso un compartimento stagno che separa la musica dai versanti della comunicazione visiva e del linguaggio verbale. Sicuramente stiamo parlando di una tendenza e non di una regola; sicuramente chi sta leggendo questo articolo potrà fare le sue ricerche e smentirmi.

Nel frattempo, ecco quattro casi in cui non solo la colonna sonora è centrale, ma addirittura arriva a sopravanzare gli altri elementi del messaggio. Senza sminuirli né distruggerli, sia chiaro: ma trainandoli e, passatemi l’espressione, prendendosene cura.

Playlist

BARILLA 1986

Io la pasta Barilla non l’ho mai sopportata: non mi pare che fra gli stadi di cottura sia mai stato contemplato quello al dente; si passa dal crudo allo scotto.

Punto.

E poi non assorbe il sugo.

E basta.

Però, quella del 1986 fu una perla di comunicazione pubblicitaria. Rifletteteci: la storia è una piccola storia fatta di minuscole, tenerissime emozioni. Una piccola bomboniera di vita di provincia alla quale è stata affiancata una composizione solenne, epica. Non per niente il brano si chiama Hymne, e trasforma la piccola bomboniera in una gigantesca, zuccherosissima astronave di buoni sentimenti in cui tutti noi troviamo il posto giusto.

Va anche detto che il vero protagonista dello spot era il gattino: di qualsiasi cosa parli, se ci metti dentro un gattino quella cosa funziona. Come sarebbe stato chiaro anni dopo con l’avvento dei social.

Autore/interprete del brano: Vangelis

Album: Opera Sauvage, 1979

LEVIS 1995

Un capolavoro assoluto di surrealismo pubblicitario in stop motion, divertissimo già a guardarlo senza audio. Ma anche in questo caso, lo scatto avviene grazie a Boombastic di Shaggy, un brano erroneamente considerato commerciale (nel senso deteriore del termine) ma in realtà piuttosto complesso, che mescola in maniera intelligente e trascinante rap, funk, reggae, hip hop e si serve di una voce di grande personalità. Il classico brano che ti entra in testa e non se ne esce più: chi ha ideato lo spot lo sapeva bene, di sicuro.

Era il ’95, avevo sedici anni e comprai due Levi’s. Mi stavano di merda, ma mi sono sentito comunque, anche se solo per un attimo, boombastic.

Autore/interprete del brano: Shaggy

Album: Boombastic, 1995

di questa canzone esistono almeno due versioni. Questa è quella usata per lo spot:

ORO SAIWA 2012

Come tante grandi canzoni, anche il brano scelto per questa campagna è apparentemente rilassato ma nasconde più di una marcata inquietudine. E come tante grandi canzoni, anche questa può essere letta su più livelli. Saiwa sceglie ovviamente quello più immediato della dolcezza della musica e della voce di Nina simone. Potreste di fatto evitare di guardare lo spot. Potreste solamente ascoltarlo e immediatamente vi verrebbe in mente il momento delle prima colazione.

Nonostante la potenza dell’ADV, gli Oro Saiwa rimangono troppo secchi, ma se li mangiate mentre ascoltate I want a little sugar in my bowl li mandate giù più velocemente.

Autore/interprete del brano: Nina Simone

Album: Nina Sings The Blues, 1967

TIM 2017

Non vado d’accordo con la TIM: avere a che fare con il servizio clienti è come trovarsi nel mezzo della trama di Inception di Christopher Nolan. Ma in questo articolo le mie disavventure personali non contano e dunque mi tocca fare un applauso ad una delle serie di spot più trascinanti degli ultimi anni. La campagna si chiamava #BallaconTim e deve sicuramente il suo successo al talentuoso ballerino Sven Otten (un gran manico, come si direbbe dalle parti di Bologna) che ha una capacità quasi soprannaturale di usare il suo corpo in maniera ipnotica. Altrettanto importante, tuttavia, il fatto che la coreografia elaborata fosse stata cucita addosso ad una canzone dal ritmo semplice ed incalzante. Come per Levi’s: All Night ti entra in testa e non va più via. Ballo e musica: una miscela potentissima che sostituisce alla tirannia di tante immagini convenzionali il gesto, il movimento del corpo umano e il senso del ritmo. In tutta la loro bellissima semplicità.

Il mese prossimo cambio operatore. Ma bravi comunque, ragà.

Autore/interprete del brano: Parov Stelar

Album: Tre Princess, 2012

Bonus tracks

Avevo anticipato che i lettori di questo articolo avrebbero potuto smentirmi scrivendomi che “no guarda, hai detto una scemenza, gli articoli che parlano di musica e pubblicità ci sono e sei tu che non sai cercare eccetera eccetera eccetera…”.

Bene, siore e siori. Vi rendo la vita più facile. Ecco qualche spunto interessante trovato in rete: qui e qui. Alla prossima.

Ghost Track

Ho aperto l’articolo con le parole di uno dei più grandi cantautori di sempre. Mi faceva piacere chiuderlo con una sua canzone. Questa: